Segreti e limiti della comunicazione non verbale
Da alcuni decenni si assiste ad un interesse sempre maggiore, da parte delle scienze sociali e umane, verso tutta quella comunicazione che avviene con modalità diverse dal linguaggio parlato.
Al contrario, nei primi anni del secolo scorso, la comunicazione non verbale non riceveva ancora l’attenzione che riveste oggi, un po’ perché i segnali sono per certi versi inconsapevoli, un po’ perché il prevalere di un’idea fortemente razionalistica dell’uomo tendeva a mettere più in evidenza gli aspetti verbali.
È ormai accettato che non si comunica solo con la lingua parlata o scritta, ma talvolta anche con gesti e movimenti, dei quali talvolta neanche ci accorgiamo. Parliamo di quella che lo psicologo Mauro Cozzolino definisce nel suo saggio “comunicazione invisibile”. Conoscerla e saperla gestire potrebbe migliorare il nostro modo di porci e di comunicare con gli altri.
CNV – La comunicazione non verbale
Può esserci solo una “prima impressione”, e non una seconda? È stupefacente come gli uomini, pur non avendo consapevolezza dei codici che usano nel linguaggio non verbale, istintivamente attribuiscono loro molta importanza e fiducia.
Se riflettiamo sul fatto che solo con un primo incontro riusciamo a dare un giudizio su un’altra persona, ci rendiamo conto che ad influenzare la prima impressione, ci sono anche gli elementi non verbali: aspetto, postura, ma anche distanza nello spazio, voce, segni sul corpo (es. tatuaggi), odore, abbigliamento e tutti quegli elementi non linguistici che ci permettono di entrare in relazione con l’altro.
Spesso usiamo questi segnali come una modalità di controllo, in quanto manifestazioni più chiare di uno stato emozionale rispetto alle parole. Possiamo dunque affermare che produzione linguistica e linguaggio non verbale sono aspetti complementari di uno stesso processo: dove il linguaggio verbale non sempre è abbastanza esplicito ci si aiuta con il linguaggio non verbale. Quel tipo di messaggio, che può essere percepito in pochi secondi, perché per sua natura sfugge e si rende invisibile, è una delle caratteristiche attraverso cui l’individuo si mette in relazione con gli altri.
Saper interpretare ciò che il corpo esprime
La comunicazione non verbale si attua attraverso i gesti, la prossemica (cioè il rapporto dell’uomo con lo spazio personale), la paralinguistica (cioè l’insieme di tutti i suoni e rumori emessi durante messaggio verbale, come battere i piedi sbuffare, schiarirsi la gola, modulare la voce), e soprattutto la mimica facciale.
L’espressione assunta dal volto può essere indicativa di ciò che proviamo o che fingiamo di provare. A chiunque può capitare di dover affrontare un colloquio di lavoro o un discorso davanti a un pubblico, che può approvare o disapprovare le nostre proposte o idee.
In queste occasioni, se ci si trova in uno stato di disagio, o se le nostre parole non vengono accompagnate dal corpo nel modo giusto, potrebbero creare tensione nell’interlocutore, il quale potrebbe anche interrompere la sua disponibilità all’ascolto o all’accettazione. Il toccarsi zone del viso o manipolare gli oggetti intorno, per esempio, secondo alcuni può portare in superficie emozioni nascoste o inconsce.
Recenti ricerche hanno inoltre evidenziato che una parte del cervello è specializzata nel riconoscimento dei visi umani, e che il volto con le sue micro-espressioni facciali è la sede primaria per manifestare emozioni; il corpo darebbe meno informazioni del viso e la voce meno delle parole.
Studi sul linguaggio non verbale
Tra il 1944 e il 1954 quei pochi studiosi che affrontavano l’argomento erano considerati alla stregua dei sensitivi, se non addirittura dei ciarlatani. La precedente teoria di Darwin che considerava le espressioni facciali prodotto dell’evoluzione della specie umana e, di conseguenza, universali veniva ripresa da alcuni ricercatori convinti che l’interazione tra gli uomini non dipendesse solo da scambi linguistici, ma che il linguaggio non verbale fosse più spontaneo, perché meno soggetto a forme di controllo volontario. È infatti impossibile eseguire volontariamente alcune micro-espressioni del viso.
Ma quello che molti studiosi si sono chiesti è se le espressioni del viso, i gesti e tutto ciò che chiamiamo comunicazione non verbale siano vera comunicazione o solo comportamenti. Per alcuni sarebbero comunicativi solo comportamenti prodotti intenzionalmente cioè le espressioni linguistiche orali o scritte, mentre la maggior parte dei gesti per esempio sarebbero acquisizioni culturali e pertanto non universali (es. i gesti illustrativi per i quali noi italiani siamo famosi nel mondo nel trovare una via alternativa al linguaggio verbale).
Rimè afferma che la comunicazione non verbale è solamente un aspetto motorio dell’attività del pensare. Altri invece sostengono che il linguaggio non verbale fa quello che il linguaggio non riesce a fare. La competenza comunicativa prelinguistica del neonato e i segnali o le espressioni di sordi e ciechi sono prova della natura innata e universale del linguaggio corporeo. Recentemente altri studiosi hanno hanno elaborato una visione intermedia (quindi né solo comunicativa, né solo espressiva) in cui tutte le informazioni possono essere considerate integrative.
Ekman e Friesen propongono una suddivisione in comportamento informativo (gesti con un significato condiviso) comunicativo (invio di un messaggio preciso e consapevole), interattivo (che può influenzare o modificare il comportamento degli altri). L’idea è che le espressioni siano innate, ma la cultura porta delle regole acquisite. Ekman ha studiato l’espressione delle emozioni in diverse culture, e ha messo a punto un sistema per la codifica delle espressioni facciali, il FACS (Facial Action Coding System) sistema di riferimento, per la sua capacità di codificare praticamente tutti i possibili movimenti del viso.
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