Cancellare contenuti da internet: il rischio “Effetto Streisand”
Negli ultimi anni il grande sviluppo di internet e delle piattaforme che permettono la pubblicazione di user generated content ha prodotto un proliferare di siti web che pubblicano articoli, immagini o video relativi a privati o ad aziende che queste persone e queste aziende giudicano, a torto o a ragione, essere violazioni dei propri diritti, o perché diffamatori, o perché lesivi della privacy, o ancora perché riportano informazioni false o scorrette. Ma come ci si deve comportare in questi casi?
La peculiarità del web
Quando un giornale pubblica una notizia falsa o diffamatoria, la legge reputa il direttore responsabile di mancato controllo, ed estende a proprietario ed editore della testata – oltre che, ovviamente, al giornalista autore del pezzo – la responsabilità per il contenuto pubblicato. Inoltre, il giornale è tenuto a rettificare la notizia falsa o lesiva di altrui diritti. Tutto questo al momento sembra non si applichi ai normali siti web – nonostante periodicamente riappaia in Parlamento un disegno di legge che vorrebbe introdurre l’obbligo della rettifica non solo per i giornali online, ma anche per i blog privati. Questa deregolamentazione impone a chiunque – soprattutto se un personaggio famoso o un’azienda – decida di chiedere la rimozione o la rettifica di un contenuto postato online di comportarsi con molta cautela, onde evitare il cosiddetto “effetto Streisand”.
L’effetto Streisand
Quasi dieci anni fa, nel 2003, un fotografo americano di nome Kenneth Adelman pubblicò sul sito web migliaia di fotografie ritraenti la costa californiana, con l’obiettivo di documentarne il preoccupante stato di erosione. Le foto potevano essere liberamente visionate e scaricate da tutti i visitatori. In quelle foto, tuttavia, appariva anche la villa di proprietà di Barbra Streisand, che citò il fotografo per violazione della privacy chiedendo un risarcimento di 50 milioni di dollari.
Il tentativo di far rimuovere il contenuto suscitò però l’effetto opposto: milioni di persone, che non avevano la minima idea di dove abitasse Barbra Streisand, si precipitarono spinte dalla curiosità a scaricare la foto incriminata, arrivando a determinare con esattezza l’indirizzo dell’abitazione della cantante e attrice americana. Una pubblicità enorme e assolutamente negativa, unita a una reale messa in pericolo della privacy provocata però non dal fotografo, ma dalla scomposta reazione della star.
Altri casi famosi
Fra gli altri casi simili, possiamo ricordare quello che ha avuto come protagonista Tom Cruise e la chiesa di Scientology. All’inizio del 2008 apparve su YouTube un video non autorizzato in cui l’attore parlava della Chiesa; quest’ultima chiese immediatamente al titolare dell’account di rimuovere il video. L’effetto fu però quello di generare un buzz irrefrenabile in rete e – invece che la rimozione del video – la sua pubblicazione su numerosi altri portali, oltre che il proliferare di innumerevoli parodie. Una case history aziendale, invece, è quella che riguarda Boiron.
L’azienda, produttrice di farmaci omeopatici, chiese la rimozione di un post pubblicato su Blogzero (www.blogzero.it), nel quale l’autore criticava l’omeopatia e accusava l’azienda di fare profitti vendendo prodotti inefficaci. La casa farmaceutica chiese la rimozione del post, minacciando una querela per diffamazione. Il blogger eliminò effettivamente dal post il nome della Boiron e dei suoi prodotti, ma pubblicò il testo della diffida, che ben presto iniziò a girare in rete, portando all’azienda un danno senz’altro maggiore di quello che avrebbe causato un post pubblicato su un piccolo blog.
Qual è il comportamento corretto da tenere?
Indicare una norma di comportamento univoca è praticamente impossibile, considerando la varietà dei contenuti che si possono pubblicare online e l’entità del danno – vero o presunto – che questi possono causare a privati o imprese. Quello che si può dire, è che in generale in rete vince il dialogo.
Se dunque ci troviamo di fronte a un contenuto diffamatorio, o magari a un’opinione negativa su un prodotto non adeguatamente suffragata dai fatti, la strategia migliore è quella di aprire un dialogo con l’interlocutore, e spingerlo verso una “rettifica spontanea”, ottenuta cioè mettendo in campo argomenti reali e convincenti, piuttosto che minacciando cause penali o risarcimenti milionari.
© Parlarealmicrofono.it – Tutti i diritti riservati, vietata la riproduzione anche parziale.
Libri Parlare in pubblico
Se sei interessato ai temi del Public Speaking e della comunicazione sui media, ho da poco pubblicato la raccolta di tutti i miei libri. Si intitola "Enciclopedia del Public Speaking", ed è disponibile su Amazon.
Quali parole scegliere quando dobbiamo parlare in pubblico? Come favorire l'attenzione di chi ci ascolta? Come esprimere i nostri contenuti in maniera efficace? Come relazionarci meglio con lo stress che proviamo sul palco? Sono solo alcune domande a cui cerco di rispondere in maniera esaustiva in oltre 450 pagine.
"Enciclopedia del Public Speaking" è la raccolta dei miei primi cinque libri: "Crea immagini con le parole" (2013), "Il pubblico non è una mucca da contenuti" (2014), "Appunti di dizione" (2016), "Parlare al microfono" (2017) e "Parlare in pubblico con la mindfulness" (2019).
Enciclopedia del Public Speaking è disponibile su Amazon.