Il discorso di Matteo Renzi in Senato sotto l’aspetto linguistico
Qual è stato l’aspetto più significativo del discorso con cui Matteo Renzi ha chiesto al Senato di votare la fiducia al suo Governo? A quanto pare le risposte più gettonate leggendo qua e là i commenti presenti sui giornali e sulla rete sono relative al fatto che il premier abbia parlato a braccio per quasi un’ora e un quarto.
Si tratta di un elemento che esula dai contenuti dello speech tenuto dal neopresidente del Consiglio, e che insistono per lo più sulla modalità del discorso, che rappresenta forse il tratto in questo momento più interessante per i media, in quanto inequivocabilmente di grande rottura rispetto allo stile e ai modi compassati che hanno caratterizzato i suoi predecessori a Palazzo Chigi.
Un discorso non del tutto comprensibile
Ma cosa si può dire a livello linguistico della performance di Renzi in Senato? Giovanni Laccetti ha pubblicato su Termometro Politico un’interessante disamina del discorso di Renzi, che è stato accuratamente scandagliato grazie ad alcuni software sviluppati dall’ItaliaNLP Lab dell’Istituto di Linguistica Computazionale “Antonio Zampolli”.
Il primo dato rilevante è che la leggibilità del discorso è stata significativamente più bassa rispetto ai livelli che abitualmente raggiunge Renzi: 49,3 punti sull’indice Gulpease, contro gli oltre 60 delle sue principali apparizioni in pubblico. Ciò significa che le sue dichiarazioni programmatiche sono state pienamente comprensibili solo per coloro che hanno conseguito almeno la licenza superiore: secondo l’indice Gulpease, un indice di leggibilità definito a fine anni Ottanta dal Gulp (Gruppo Universitario Linguistico Pedagogico) all’Università La Sapienza di Roma, i testi con indice inferiore a 60 sono infatti difficilmente comprensibili per chi ha un grado d’istruzione inferiore.
Nel caso in esame, il risultato non dipende dalla complessità dei termini utilizzati (oltre il 70% delle parole appartengono al vocabolario di base) bensì probabilmente alla scelta di parlare a braccio, che spesso e volentieri significa anche produrre frasi lunghe e intricate. In effetti, la lunghezza media dei periodi del discorso di Renzi è stata di 33,1 parole: un numero decisamente elevato che ha pregiudicato la comprensibilità dell’eloquio, dato che la leggibilità di un testo è generalmente inversamente proporzionale alla lunghezza delle frasi che lo compongono.
Un retroscena inaspettato
Particolarmente divertente, infine, è il retroscena che l’estrazione terminologica compiuta dagli studiosi che hanno condotto la ricerca sembrerebbe rivelare: il sintagma che compare più volte in posizioni sintatticamente rilevanti è “semestre europeo”. Secondo gli analisti, questo significherebbe che – benché l’orizzonte verso il quale il presidente del Consiglio proietta il suo governo sia il 2018 – Renzi avrebbe in realtà un obiettivo molto più a breve termine: punterebbe infatti a realizzare entro dicembre – scadenza del semestre di presidenza italiana dell’Unione Europea – il suo piano, per poi valutare se tornare al voto o procedere con la legislatura.
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