Le tecniche di Programmazione Neurolinguistica (PNL) e i corsi di Public Speaking (dedicati all’arte di parlare in pubblico) sono due ambiti talvolta intersecati. La relazione tra queste due discipline suscita dibattiti, polemiche e, in alcuni casi, puro scetticismo.
Nonostante le tecniche di PNL vengano frequentemente promosse come strumenti potenti per migliorare le competenze dell’arte oratoria e per superare la paura di parlare in pubblico, questa relazione rimane controversa e discutibile. Perché?
La PNL, sviluppata negli anni ’70 da Richard Bandler e John Grinder, è un insieme di tecniche di auto-aiuto che cercano di codificare e riprodurre l’eccellenza umana. Tuttavia, mentre queste tecniche possono avere un impatto su alcuni individui, mancano di evidenze scientifiche solide che ne dimostrino l’efficacia universale. Non basta infatti un singolo specifico studio per dimostrarne la sua universalità e riproducibilità, e al momento non esistono meta-analisi soddisfacenti che permettano di confermare la scientificità della Programmazione Neurolinguistica intesa come disciplina autonoma nel suo complesso.
PNL e Public Speaking: apprendimento, imitazione e mirroring
I sostenitori della PNL spesso asseriscono che, attraverso l’apprendimento e l’imitazione dei modelli di comportamento di oratori di successo, una persona può migliorare le proprie capacità di oratoria. Questo, tuttavia, presuppone che le tecniche di comunicazione siano facilmente trasferibili e universali, un’assunzione in conflitto con la complessità del comportamento umano.
Senza considerare che, come ho raccontato in un mio video (“Non esiste un discorso di successo senza un pubblico che ce lo permette“) e nel mio libro “Controcultura del Public Speaking“, la comunicazione è un processo multidirezionale, in cui non basta la perfetta competenza dell’emittente per garantirci che il destinatario di un messaggio ne risulti persuaso.
Le abilità di comunicazione non sono puramente meccaniche o riproducibili. Si tratta di abilità fortemente influenzate dalla personalità dell’oratore, dal contesto culturale, dallo stato emotivo e dalle esperienze personali. E, non dimentichiamolo, dalla disponibilità cooperativa del pubblico. Non è quindi sufficiente imitare il linguaggio del corpo di un oratore di successo per trasformarci in comunicatori efficaci.
Inoltre, la PNL enfatizza l’importanza di creare “rapport” con l’audience attraverso l’uso di tecniche quali il “mirroring” e “matching“. Tuttavia, questi metodi presuppongono una sorta di monolito culturale, in cui tutti gli individui reagiscono allo stesso modo agli stessi stimoli in tutto il mondo. Questa supposizione è intrinsecamente problematica, poiché le persone hanno diversi background culturali e personali, e ciò che funziona con una persona potrebbe non funzionare con un’altra.
Un altro motivo di controversia è l’affermazione che le tecniche di PNL possono aiutare a superare l’ansia di parlare in pubblico. Nonostante sia vero e dimostrato che alcune tecniche possano risultare utili, non vi è prova scientifica che il corpus di tecniche offerte dalla PNL possa offrire una soluzione affidabile e duratura all’ansia da palcoscenico.
Il problema della validazione scientifica della PNL
È inoltre importante sottolineare che la PNL è stata spesso criticata per la sua mancanza di rigore scientifico. Numerosi studi scientifici non sono riusciti a trovare prove empiriche che confermino affermazioni fatte dai sostenitori della PNL (una su tutte, le affermazioni su verità o menzogna pronunciata dall’interlocutore deducibile dai movimenti oculari, smentita da questo studio). Questo rende difficile per i professionisti del Public Speaking raccomandare con certezza l’uso della PNL come strumento efficace di miglioramento.
Pertanto, mentre le tecniche di PNL possono avere un’efficacia per alcuni individui, la mancanza di prove scientifiche e le contraddizioni intrinseche nelle affermazioni degli esponenti di questa disciplina, rendono la sua applicazione al Public Speaking quanto meno problematica.
I discorsi in pubblico richiedono un approccio personalizzato e basato sull’esperienza, perché ciascuno di noi è differente, piuttosto che un set di tecniche preconfezionate. L’arte della comunicazione rimane un campo ricco di sfumature e complessità, che non può essere semplificato attraverso l’applicazione di un modello rigido come quello proposto dalla Programmazione Neurolinguistica.
La PNL è accettata e riconosciuta dalla psicologia?
La Programmazione Neurolinguistica (PNL) non è universalmente riconosciuta come disciplina psicologica, soprattutto poiché manca di un ampio supporto empirico che ne dimostri l’efficacia. Tanto che nei corsi di studio universitari italiani in Scienze e tecniche psicologiche e in Psicologia, raramente la PNL compare tra i piani di studio. Né è abitualmente considerata materia d’esame in occasione degli Esami di Stato per l’abilitazione alle professioni di Dottore in tecniche psicologiche e di Psicologo.
Tuttavia, alcuni professionisti della psicologia talvolta utilizzano alcune tecniche di PNL. Ma perché accade questo? Per una ragione molto semplice: la Programmazione Neurolinguistica attinge e unifica una serie di teorie e approcci che nascono nell’alveo della psicologia, della semiotica e della linguistica.
Pensiamo per esempio all’asserzione “la mappa non è il territorio”, che tecnicamente appartiene all’orientamento psicologico del costruttivismo. Tale concetto nasce dalle teorie di semantica generale di Alfred Korzybski. Essendo Korzybski nato nel 1879, anche soltanto per ragioni anagrafiche, la PNL non avrebbe potuto neanche lontanamente immaginare cosa fosse. Possiamo quindi sostenere che l’asserzione “la mappa non è il territorio” è un’asserzione di PNL? Ovviamente no.
Stessa cosa dicasi per i concetti di “framing” e “reframing” in comunicazione, che spesso vengono associati alle teorie di Programmazione Neurolinguistica, semplicemente perché nel tempo la PNL se n’è occupata (a suo modo, e con sue conclusioni discutibili, peraltro).
Di per sé, la prima concettualizzazione delle competenze di “framing” del cervello umano, e del ruolo delle immagini mentali, può essere fatta risalire ad Aristotele, che nel suo saggio “Sull’anima” scriveva: “Quando si pensa, al tempo stesso si pensa un’immagine”. Difficile, davvero, pensare ad Aristotele come a un esponente della PNL.
Ma ancora a posteriori, troviamo elementi importanti sul ruolo delle immagini mentali in comunicazione nelle opere di Sant’Agostino. Sino ad arrivare al primo vero e proprio uso “tecnologico” della tecnica del framing, teorizzato per la prima volta negli Stati Uniti, e che risale al lontano 1922. Quindi decenni prima dell’avvento della PNL. Senza contare gli innumerevoli studi sull’uso dell’imagery e della visualizzazione guidata in psicologia e in psicoterapia, che nulla hanno a che fare con la Programmazione Neurolinguistica.
Giusto per fare un ulteriore esempio, una celebre tecnica argomentativa di Public Speaking, che fa uso di tecniche di visualizzazione attraverso il linguaggio, risale agli anni ’30. Anche in questo caso, decenni prima dell’avvento della PNL.
Come abbiamo visto, il corpus della PNL attinge da un insieme di approcci psicologici e filosofici, ed è per questo che talvolta alcuni costrutti psicologici possono sovrapporsi, generando confusione circa il riconoscimento della Programmazione Neurolinguistica da parte della comunità psicologica.
Più in generale, se ci riferiamo alla PNL nel suo complesso, numerosi ricercatori e professionisti del campo psicologico rimangono scettici circa la sua validità ed efficacia, a causa della mancanza di ricerche scientifiche rigorose che la possano supportare, vista la sua “inafferrabilità”: troppe teorie e troppe asserzioni apodittiche (autodimostrative). A questo proposito, si guardi alle inchieste realizzate negli anni dal CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze), disponibile a questo link e a quest’altro link.
E tu, Patrick, da che parte stai? Nei tuoi corsi di Public Speaking usi la PNL?
In poche parole, ritengo che la Programmazione Neurolinguistica, semplicemente, non esista. Non esiste per tutte le ragioni che ho indicato sopra. Possiamo identificarla come un contenitore di costrutti, teorie, tecniche che hanno matrici, origini e orientamenti tra loro differenti. Talvolta attendibili, poiché validati, altre volte decisamente no.
Trattandosi di un contenitore molteplice e davvero troppo eterogeneo per portata, è quindi impossibile dimostrarne l’efficacia, la validità e la replicabilità dei risultati. Seguendo un metodo di falsificazionismo popperiano, potremmo quindi dire che la PNL è una disciplina infalsificabile. Per intenderci: lo stesso status scientifico ed epistemologico che si attribuisce alle metafisiche.
Possiamo quindi crederci o meno, restando tuttavia consapevoli che la scienza è un’altra cosa.
Per questo, alla domanda: “ma quindi tu applichi la PNL nei tuoi corsi di Public Speaking?”, la mia risposta è: poiché dal mio punto di vista la PNL non esiste, la mia risposta è necessariamente NO.
Semmai è ciò che va genericamente sotto il nome di PNL a ispirarsi (talvolta) alle tecniche studiate e utilizzate dei professionisti della psicologia, tra cui intenzionalmente, e con motivato entusiasmo, mi annovero.
Nel dubbio, quindi, continuo a scegliere la psicologia.