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Definire l’avversario: la retorica di Donald Trump durante il discorso alla convention repubblicana

Definire l’avversario: la retorica di Donald Trump durante il discorso alla convention repubblicana

Donald Trump nel suo recente discorso ha rispolverato un classico della retorica conservatrice: definire l’avversario con aggettivi in cui l’avversario non si riconosce.

Lo ha fatto in chiusura della convention repubblicana che lo ricandida alla presidenza: “Queste sono le elezioni più importanti della storia del nostro Paese La scelta è fra due opposte visioni del mondo”. E quella per il partito democratico, secondo Trump, è una scelta verso il “socialismo”.

Da una parte Trump fa ampio uso delle tecniche di storytelling (decido io il contesto, chi sono i protagonisti della storia, gli attori in campo, i nemici, la sceneggiatura, il finale), dall’altra crea immagini funzionali alla sua narrativa (se ti do del “socialista”, ma tu non lo sei, potrai smentirlo quanto vuoi, ma nel frattempo io avrò evocato proprio quell’immagine nell’elettorato).

Una modalità, peraltro, simile a quella utilizzata in passato da Silvio Berlusconi in Italia, noto per la formula “siete ancora oggi, come sempre, dei poveri comunisti”, rivolta a oppositori che avrebbero potuto non riconoscersi in quella definizione.

Si tratta di una modalità che finisce, inevitabilmente, per alimentare l’immagine mentale sottostante. E ogni volta che succede, per gli oppositori, diventa un bel problema venirne fuori.

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Come parlare in pubblico: le metafore e il presente storico

Come parlare in pubblico: le metafore e il presente storico

Da anni vi racconto quanto è importante parlare in pubblico in modo chiaro, creando immagini con le parole e preferendo parole concrete, ad alto valore d’immagine, che si riferiscono a oggetti concreti della realtà.

Perché ve lo raccomando spesso? Perché più riusciamo a essere lineari nella nostra comunicazione, meno affaticheremo il nostro pubblico. E non si tratta solo dei livelli di scolarizzazione, e di quanto le persone hanno studiato e possono fare fatica a decodificare il nostro messaggio. Si tratta dello sforzo cognitivo e di attenzione che chiediamo a chi ci ascolta.

Usare le metafore nei discorsi in pubblico? Sì, ma con moderazione

Questo è anche il motivo per cui vi ho sempre raccomandato di fare attenzione alle metafore. Le metafore, benché siano anch’esse ad alto valore d’immagine, sono “un altro modo per dire le cose”: giusto alcuni giorni fa vi facevo l’esempio della frase “Fuori da questa sala piove, ma qui dentro splende il sole”, e vi facevo notare quanta attenzione e impegno cognitivo ci vogliono per capire il significato reale di questa frase, se non ci è chiaro il contesto.

Una volta d’accordo sul fatto che le metafore possono rendere talvolta meno immediata la nostra comunicazione, resta una domanda: ci può capitare di usare delle metafore difficili da decodificare, anche quando non ce ne rendiamo conto?

La risposta è sì, e una di queste situazioni si verifica quando in un discorso in pubblico utilizziamo il “presente storico”.

Che cos’è il presente storico?

Il presente storico è un tempo verbale che utilizziamo al presente all’interno di una frase, quando in realtà ci stiamo riferendo al passato. Facciamo un esempio concreto di una frase che potremmo dire usando il presente storico. Cominciamo dicendo:

Eravamo nel 1980. Lui arriva lì, e a un

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