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Perché la campagna “Basta Netflix” può migliorare la nostra comunicazione

Perché la campagna “Basta Netflix” può migliorare la nostra comunicazione

Recentemente Netflix ha promosso una campagna pubblicitaria intitolata “Basta Netflix”, riempiendo le città di manifesti con questo slogan. Ciascuno ha potuto attribuire significati diversi a queste due parole, chi interpretandole come un monito a smettere di guardare la piattaforma, chi come un’affermazione sul fatto che guardare Netflix è sufficiente per essere soddisfatti.

Questa distinzione ci può aiutare a riflettere anche sul Public Speaking, quando osserviamo i discorsi dei comunicatori più famosi: ancora una volta si tratta di distinguere tra osservazione e interpretazione.

Si tratta di sviluppare la capacità di “guardare” alle performance di Public Speaking di relatori celebri in maniera più consapevole, neutra e distaccata, cercando di distinguere tra quello che stiamo semplicemente vedendo (il “significante”, per dirla con i termini della semiotica, la scienza che studia i segni) dalla nostra effettiva interpretazione (il “significato”, per restare nella metafora), che può variare da persona a persona.

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Le braccia conserte sono davvero un gesto di chiusura?

Le braccia conserte sono davvero un gesto di chiusura?

Possiamo davvero conoscere con certezza qual è il significato del gesto di chiudere le braccia quando parliamo in pubblico? Come facciamo ad affermare con certezza che si tratta di un gesto di chiusura nei confronti del pubblico?

Lo psicologo Albert Mehrabian ha smentito da tempo le interpretazioni errate che sono state date alle sue ricerche sul linguaggio non verbale. Eppure questo tema del linguaggio del corpo resta ancora uno dei luoghi comuni più diffusi.

A farne le spese, ancora una volta, è il nostro senso di libertà sul palco. Ne parlo in questo video.

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L’utilità marginale decrescente delle parole

L’utilità marginale decrescente delle parole

Prendendo spunto da un paragrafo del mio libro del 2013, “Crea immagini con le parole”, oggi torno a scomodare una legge della microeconomia: la legge dell’utilità marginale decrescente.

Secondo la legge dell’utilità marginale decrescente, l’utilità che possiamo trarre dal possesso di un determinato bene, decresce man mano che ne accumuliamo quantità maggiori.

Si tratta di una regola che può valere anche per le tecniche di Public Speaking che scegliamo di utilizzare? E per le singole parole che usiamo? Questa e altre risposte nel video di oggi.

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Chi non ha mai commesso un errore non ha mai provato nulla di nuovo: vale anche per il Public Speaking?

Chi non ha mai commesso un errore non ha mai provato nulla di nuovo: vale anche per il Public Speaking?

Per la puntata di oggi ho scomodato niente meno che una frase molto famosa dello scienziato Albert Einstein: “Una persona che non ha mai commesso un errore, non ha mai provato nulla di nuovo”.

Rifletto sul fatto che la parola “errore” deriva dal verbo latino “errare”, cioè “andare vagando”. È in questo senso che può esserci utile concepire l’errore: un percorso che ci consente di esplorare nuove possibilità, nuove vie per raggiungere la nostra destinazione.

Anche la psicologia ha studiato negli anni le forme di apprendimento “per prove ed errori”, e penso che sia indubitabile che l’esplorazione della realtà porti con sé il rischio di sbagliare, e allo stesso tempo, attraverso gli errori, di scoprire nuove modalità.

Vale anche nei contesti di Public Speaking tutte le volte in cui “sbagliamo” qualcosa all’interno di una presentazione. Ecco, in questi casi, da oggi in poi, potremmo sostituire la formula “ho fatto un errore” con: “ho fatto un errare, ho fatto un andare vagando”.

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